Il Gigante della Provenza. Il Monte Calvo. Il Mont Ventoux. Comunque lo
si chiami, incute sempre un profondo timore reverenziale. Quando riesci a
scorgerlo, già a qualche kilometro di distanza, ti vengono in mente tappe
storiche e ciclisti intrepidi. Tappe che hai vissuto vedendole in TV o di cui hai letto, protagonisti che hanno realizzato un’impresa o che, al contrario, sono usciti sconfitti dalla sfida. Il monumento dedicato a Tom Simpson, campione britannico che morì a poche centinaia di metri dalla vetta, è lì a testimoniarlo. Percorrere la strada che porta alla cima ricorda i grandi santuari europei come Fatima o Lourdes: anche qui una fila ininterrotta di pellegrini. Una processione silenziosa che cerca di raggiungere la vetta. Giovani e meno giovani, in forma o non in forma, tutti comunque sono qui per arrivare lassù, come se ci fosse da chiedere una grazia. In realtà c’è solo una foto da fare, davanti ad un cartello, ma solo chi ha visto quella strada sa quanta fatica costi e che valore abbia quell’immagine. Il Gigante non si nasconde mai, si presenta in tutta la sua potenza e maestosità; appena raggiungi gli ultimi 6000 famosissimi metri, ti si apre davanti, con una vista a 360 gradi, e non ti concede un filo d’ombra, né un albero. È tutto davanti a te, curva dopo curva, strappo dopo strappo. Anche per chi non è un ciclista, quel paesaggio lascia senza parole. Non si può non restarne affascinati. E chiunque abbia mai preso in mano una bicicletta da corsa, davanti a quello spettacolo, spera un giorno di riuscire a blandire il Gigante.