“Sooner than wait for
A break in the weather,
I’ll gather my far-flung
Thoughts together
Speeding away
On the wind to a new day
And if you’re alone
I’ll come home”
St.Tropez – Pink Floyd
Quest’anno si comincia presto. Già l’iscrizione alle Strade Bianche aveva anticipato un po’ tutto, ma all’ultimo la decisione di fare anche la GF Laigueglia come preparazione ai 135 km di mangia e bevi in terra toscana. E così eccoci qui in griglia insieme ad altri 1200 partenti, pronti ad affrontare i 118 km di questa classica d’inverno, che solo una settimana fa ha dato il via alla stagione ciclistica professionistica. Le strade sono più o meno le stesse, nessuna grande salita ma un continuo alternarsi di strappi e falsipiani nell’entroterra ligure, discese con strade larghe alternate a discese tecniche, qualche kilometro in piano a fondovalle e l’arrivo a Colle Michieri con gli ultimi 2,5 km in salita. Come sto? Abbastanza bene, le ultime uscite sono state positive, le salite brianzole e le classiche del triangolo lariano sono state piene di soddisfazioni, leggi continui PB su Strava. Ma una GF è tutta un’altra cosa, più ore, più kilometri, più persone intorno a te. A differenza di altre competizioni in cui il numero alto di iscritti assicura una maggiore differenzione dei livelli di preparazione, qui – già lo so – saranno tutti fortissimi. Un po’ perchè a questo punto della stagione non sono in molti ad essere pronti, molti in questo periodo non escono proprio, siamo comunque sempre in inverno.
Il clima non è dei migliori, ma non è freddo, in Liguria anche senza sole si sta bene. Pantaloncino corto e maglia lunga ma non pesante. Si parte alle 9, nello stretto budello del lungomare di Laigueglia, curva secca a destra e poi via nel lungo rettilineo fino a Ceriale. Il primo kilometro teoricamente a velocità controllata. In realtà mi trovo a correre come di rado mi capita sin dai primi metri. Sapevo già che avrei sofferto questo momento, non è proprio nelle mie possibilità spingere rapportoni per 20 km, per cui cerco di accodarmi a un gruppo che tiene una buona velocità senza mandarmi in crisi. Butto un’occhio sul computerino e vedo che andiamo sui 40 kmh ma le gambe non soffrono, bene così. Ho sempre un po’ di battito accelerato in queste situazioni perchè le bici ti passano un po’ ovunque, quelli forti che partono dietro in griglia cercano di recuperare il più possibile e te li vedi sfrecciare a destra e sinistra. Appena il gruppo si distende comincio a respirare un po’, entriamo a Ceriale e so che a breve ci sarà la svolta a sinistra verso la provinciale che sale nell’entroterra. Si comincia a salire e il ritmo fatalmente scende. La pendenza non è impossibile e c’è gente che fa una bella velocità, io cerco di trovare la mia andatura, il giusto equilibrio tra respiro e pedalata, tra voglia di andare e sensazioni sulle gambe. A differenza di altre gare è più difficile capire quando si arriva alla fine della salita, perchè appunto le strade si srotolano tra le colline dell’entroterra e anche quando pensi di aver finalmente finito di salire e finalmente respirare, dopo una curva ti ritrovi uno strappetto infido che si fa sentire nelle gambe. Arrivo al primo ristoro e mi fermo giusto il tempo di mangiare una barretta e bere un bicchiere di sali. Poi riparto. Le discese riescono a essere meno terribili di quanto pensassi e mi danno il tempo di rifiatare un po’. Continuo a sentire un leggere fastidio alla gamba sinistra, non un vero e proprio dolore, ma la sensazione di “sentire” la presenza della coscia sinistra, mentre non mi accorgo di quella destra. Difficile da spiegare? Probabilmente sì. In ogni caso arrivo al secondo ristoro che sono passati quasi 70 km, e ora ne mancano poco meno di 50.
In questi mesi invernali non credo si essere mai andato oltre gli 80 km, per cui sono questi i km che si faranno sentire davvero. Le strade in discesa si allargano e vado giù abbastanza tranquillo finchè prendo una buca che mi fa letteralmente chiudere gli occhi per una frazione di secondo per la botta. Il tempo di capire quanta paura mi sono preso, il tempo ci capire che sono tranquillo e riprendo la mia discesa senza troppe resistenze. Arrivo alla fine sperando invano che un gruppetto sopraggiunga da dietro e mi superi per evitare di farmi tutto un pezzo da solo completamente al vento. Invano, appunto. Sarò più fortunato negli ultimi kilometri, quando ormai comincio a vedere i cartelli dell’organizzazione: 20 km all’arrivo. 15 km all’arrivo. Faccio un drittone insieme ad un altro ciclista, riusciamo a darci un cambio, quando arriva dietro di noi un gruppetto di 5/6 ciclisti che ci supera. Mi metto a ruota e cerco di capire se riesco a stare a quella velocità senza morire. Gli ultimi 2,5 kilometri sono di salita, nulla di impossibile sulla carta, ma dopo più di 110 km so che si faranno sentire. Avevo visto il percorso e mi ricordavo del ponte dell’autostrada come riferimento per la svolta a sinistra. Appena passato si comincia subito a salire. Lo vedo che si avvicina, lo superiamo e si vedono alcuni uomini con la pettorina arancione che segnalano la curva. Svoltiamo a sinistra e appena la strada sale e spingo un po’ sento la gamba sinistra, quella che mi faceva stare in pensiero, che si irrigidisce. Temo il crampo, qui, in mezzo alla salita finale a un soffio dal traguardo. Penso che se mi blocco qui non riparto più. Rallento, per fortuna posso alleggerire un po’ il rapporto e continuo a salire. Bevo le ultime gocce dalla borraccia, e guardo il contachilometri ogni 100 metri. La strada spiana, la gamba si rilassa leggermente, il peggio sembra essere passato. 500 metri e mi torna in mente quel tizio che all’ultima curva del Mont Ventoux gridava a tutti: “deux cent cinquante mètres… deux cent cinquante mètres…”
L’ultima curva.
Il gonfiabile.
Sono arrivato.
Sfioro i 25 km/h di media.
Meglio di così non potevo fare.