Ho avuto la fortuna di incontrare Giovanni “Vanni” Pettenella qualche anno fa. Un pomeriggio d’estate sono arrivato in via Semplicità cercando la sua bottega. Io milanese che veniva a Milano solo di tanto in tanto. Avevo letto del “metodo pettenella” per fissare il pignone al mozzo senza utilizzare il lockring, perché i pistard erano maniaci del peso e tutto quello che si poteva eliminare, lo eliminavano. Come il lockring, per esempio. Erano i tempi in cui qualcuno, in Italia, aveva cominciato a girare con lo scatto fisso. Si andava in cerca di battute da 120, mozzi pista, attacchi manubrio dagli angoli inusuali. Anche io ero in cerca. Appena entrato mi accorsi che si respirava un’aria particolare, una specie di macchina del tempo istantanea. Le foto alle pareti e l’aria di una città che non c’era più, ma che era rimasta tra quelle mura come fosse una bolla. Rapidamente mi disse che non aveva più niente, che la roba da pista era rimasta sugli scaffali per anni senza che interessasse nessuno, poi erano arrivati degli americani a comprare quasi tutto. Forse vedendo la mia faccia delusa mi disse di seguirlo e da una scatola tirò fuori un paio di mozzi, un po’ rovinati, e un attacco manubrio 3ttt ancora immacolato. Parlammo un po’ di Tokyo 64, gli raccontai di mio nonno che era una tifoso di Maspes, del Vigorelli. Mi incartò i mozzi e l’attacco manubrio in carta di giornale. Salutai e andai via con l’idea di tornare presto. Purtroppo, non molto tempo dopo, Il Vanni è venuto a mancare e con lui un pezzo di storia del ciclismo, un pezzo di storia di Milano e del Vigorelli.